Giulia Carcasi, Tutto torna, a cura del liceo scientifico Edoardo Amaldi, Roma

IL LIBRO.

Due sono le parole fondamentali, forse antitetiche fra loro, ma fondamentali: solitudine e amore. Una solitudine che proviene dalla rottura di un legame molto forte, quello familiare. Un amore che, a causa della solitudine stessa, giunge ad essere un attaccamento morboso, prima alle parole, poi alle persone. “Calcavo, mentre la mia famiglia lentamente sbiadiva. Gli insegnanti chiamarono i miei a colloquio: qualcosa non va? Adesso so che non esistono cose che non vanno. Le cose tutte, anche quelle che si tengono in pugno, vanno come devono andare, il problema è imparare ad aprire le mani.” E ancora: “Ho capito che non me ne faccio niente del significato delle parole, me ne faccio qualcosa del significato delle persone, ho capito che a tutto si può rimediare, tranne al bene. D’accordo, Antonia, ho imparato la lezione, adesso basta, dovrà pure servire a qualcosa imparare, altrimenti che senso ha? Non voglio essere migliore per qualcuno che non sei tu.” Tutto comincia da questo lento scomparire del legame familiare che porta il nostro protagonista a vivere in un suo universo di solitudine, dove le uniche compagne di vita sono le parole:  proprio quelle stesse parole che la madre non può più ricordare. Ma ad un tratto appare nel buio, quasi dalla sua fantasia, Antonia, colei che trasformerà in ricchezza e in pienezza il mondo di Diego e che colmerà il posto fino ad allora vuoto accanto a lui, proprio come su un treno che sta per partire per un lungo viaggio. Le parole assumono allora un altro significato, il mondo sembra apparirgli per la prima volta come appena uscito da una campana di vetro. Ma Antonia è un personaggio che, come tutti gli altri nel racconto, è privo di spessore, privo di corporeità o di concretezza, ed è destinato a svanire, così come nel giorno del suo arrivo, silenziosamente, quasi in punta di piedi. Antonia è la chiave di lettura che ci permette di interpretare quelli che sono i timori, i desideri, i sogni del protagonista, che non sono poi così diversi dai nostri. Esattamente come lui, spesso sentiamo il bisogno di avere qualcuno accanto per affrontare le avversità della vita, qualcuno più forte di noi, qualcuno che ci guidi e ci tenga la mano, qualcuno di cui crediamo di avere bisogno. Ma Antonia insegna a Diego proprio il contrario: lo risveglia dal suo torpore, lo accompagna nel mondo reale, ma poi lo lascia solo. Come un bambino che impara per la prima volta ad andare in bicicletta, così Diego imparerà a camminare con le sue gambe, a vivere la vita così come viene, con tutta la sua confusione, cancellando l’ossessione per l’ordine dietro la quale si è nascosto per lungo tempo. Lo dice lui stesso, “il problema è imparare ad aprire le mani”: lasciare andare Antonia e ricominciare a vivere, è questo che deve fare. Ognuno di noi ha paura della solitudine, ognuno di noi cerca continuamente di trovare la felicità, nelle cose, nelle persone, negli affetti, nell’amore. Ma è sbagliato cercare l’amore con lo scopo di essere felici, bisognerebbe piuttosto essere felici, per cercare l’amore. (Giulia Carcasi, Tutto torna, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 122)

LA CITAZIONE.

“Se amavate qualcuno, lo amavate e basta, e se non avevate altro da offrirgli, continuavate a dargli amore”.

S(HORT) M(EMO OF THE) S(TORY).

Diego sembra una persona ordinaria, cataloga minuziosamente ogni istante, riflette, osserva; ma ecco Ke arriva Antonia…e tutto si confonde!

IL PERSONAGGIO.

La madre di Diego è affetta da una malattia mentale, ha una memoria scarsissima, ma possiede una straordinaria dote: l’amore per la vita. Ama le piante e odia vederle recise. Non le regala, perché occuparsi di una pianta è, che piaccia o meno, farsi carico di una vita. Questo impegno estremo verso le piante, scambiate spesso per oggetti, dimostra una tale empatia che la rende, nella sua instabilità mentale e quindi nella sua fragilità, una persona buona.

a cura del Liceo Scientifico Edoardo Amaldi, Roma

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