Intervista a Elena Varvello a cura del liceo scientifico Democrito di Roma

L’INTERVISTA.

L’autrice de La luce perfetta del giorno (Fandango, 2011) risponde alle domande degli studenti del Liceo scientifico Democrito di Roma.

Che ruolo gioca il conflitto città/campagna nel suo romanzo?

Direi che potrebbe essere considerato una causa scatenante. Un motore narrativo, in un certo senso, ciò da cui la vicenda di Matilde trae origine. Nello stesso tempo, credo che abbia profondamente a che fare con ciò che lei teme di più: l’isolamento, la solitudine. Tutto ciò da cui lei vorrebbe scappare e che invece le consentirà di imparare molto di sé e di chi le vive accanto.

In che modo la piccola comunità di Croci influisce a modificare il carattere dei personaggi?

Ho sempre pensato a Croci come all’unico posto del mondo in cui la vita dei miei personaggi , Matilde soprattutto, potesse prendere forma e compiersi. Desideravo raccontare una piccola comunità, un luogo marginale, elementare e appartato che consentisse però un rapporto molto intenso, anche se spesso conflittuale, con la natura. E poi c’è la questione dell’isolamento di cui parlavo prima, e il fatto che l’isolamento spinga i personaggi ad affidarsi l’un l’altro, li spinga l’uno verso l’altro.

Con quale carattere dei diversi personaggi si è identificata di più?

Matilde è di sicuro la donna che vorrei essere, la persona che vorrei diventare, inopportuna ma anche schietta e ironica e, in fondo, estremamente coraggiosa (mi somiglia, ahimè, solo in piccola, piccolissima parte). E poi Monica. Monica mi ha rubato qualcosa: una certa insicurezza, direi, e quel sentirsi perennemente fuori luogo che pativo quand’ero molto più giovane, e che non mi ha mai abbandonata del tutto. A dire la verità, però, nessun personaggio mi è estraneo. Non credo proprio che avrei potuto scriverne, altrimenti.

Il romanzo parla di un mondo al femminile. Quale delle figure rappresenta di più il suo modello di donna?

Be’, Matilde, senza alcun dubbio. Proprio perché è un personaggio contradditorio – o almeno, io lo percepisco così. Una donna intensa, capace di grande generosità e di momenti di autentico, puro coraggio di fronte alle difficoltà, e, nello stesso tempo, caparbia, a volte addirittura sgradevole.  Un personaggio articolato e complesso, e dunque autentico. Spero.

La famiglia: una certezza, un appoggio o un luogo da cui scappare?

Entrambe le cose, mi sa. Ho sempre considerato la famiglia un luogo privilegiato. Una sorgente di amore, di affetto e di cura reciproca e, insieme, il luogo dei conflitti più aspri, dei silenzi più intensi e delle più violente incomprensioni. Comunque, credo proprio che ciascuno di noi faccia entrambe le cose: ci appoggiamo alle nostre famiglie e poi, quando siamo pronti, ce le lasciamo alle spalle e scappiamo. Senza però mai allontanarcene del tutto, no?

Qual è il suo personale punto di vista sul mondo dell’infanzia e che ruolo gioca nel romanzo?

Oh, l’infanzia è davvero misteriosa. Ricchissima e misteriosa. Avendo due figli piccoli, il mistero e la ricchezza dell’infanzia mi si presentano davanti agli occhi ogni giorno. I bambini sono così coraggiosi e così profondamente impauriti e desiderosi di certezze. In fondo, penso a tutti i miei personaggi come a bambini che devono ancora crescere, che devono ancora imparare. E che per questo hanno molta paura. In qualche modo, La luce perfetta del giorno racconta la loro crescita, il loro diventare adulti.

Cos’è per lei la “speranza” testimoniata dai diversi personaggi?

Ciascuno di noi nutre una qualche speranza per il futuro. Come potremmo andare avanti, altrimenti? E così, ciascun personaggio spera e desidera qualcosa. Per i protagonisti de La luce perfetta del giorno, questa speranza ha a che fare con la salvezza. Con il fatto, cioè, che la loro vita, così strana e incerta e mutevole e anche toccata dalla sofferenza, alla fine riveli il suo senso, il suo disegno.

La tecnica narrativa del romanzo è molto particolare: parte dal racconto di un personaggio per abbracciare altre storie. Fino a che punto è stata funzionale alla scelta del soggetto?

Non so, davvero. E’ che io lavoro così, semplicemente: non faccio scalette, non uso schede dei personaggi. Insomma, non organizzo o progetto granché. Per quanto mi riguarda, la scrittura è molto simile a un lavoro archeologico, un lavoro di scavo. Ed è sempre una grande, un’enorme sorpresa. La struttura de La luce perfetta del giorno mi si è mostrata giorno per giorno, mentre scrivevo.

A quale tipologia di lettore si è rivolta?

Anche questa è una domanda difficile. Nessun lettore in particolare, e, insieme, tutti. Poi, credo che ciascuno di noi sia il lettore più feroce ed esigente di se stesso (o dovrebbe esserlo). Il primo lettore, e il più inflessibile. Per me funziona così.

Il finale del romanzo apre a interpretazioni possibili oppure conclude un messaggio preciso?

In realtà, avevo in mente una cosa precisa: il discorso sulla salvezza. Matilde se ne sta andando, è vero, e questo è molto triste, ma è proprio in quel preciso momento che comprendendo il senso della sua esistenza, e perciò guadagna la propria salvezza. Un istante di grazia e d’illuminazione, direi. Una cosa che le invidio moltissimo.

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