L’INTERVISTA.
Valeria Parrella, autrice di Lettera di dimissioni (Einaudi 2011), risponde alle domande degli studenti del Liceo Russell di Roma.
Con l’ideale comunista che ispira Clelia e il suo ambiente, specialmente durante la sua gioventù, intende alludere alla società moderna in cui tali valori di comunione e condivisione sono forse stati dimenticati?
No, io in genere non alludo: dico. Qui intendo dire che c’è stato un momento in cui in famiglia si respirava la politica attiva e il comunismo, per chi era comunista, e così Clelia “geneticamente” ha assorbito questa idea.
Fin dall’infanzia, già in casa, a Clelia e al fratello Alessandro è stata trasmessa l’autonomia di pensiero e l’amore per la libertà. Cosa pensa, lei, di questi valori trasmessi ai figli da parte dei genitori?
Non sono neppure dei valori, sono l’unico modo per un individuo di affermarsi. La libertà è il principio di vita fondamentale. Se due genitori amano i propri figli devono pensare alla loro libertà almeno quanto pensano al loro sostentamento.
La storia è ambientata in una Napoli ben diversa dall’immagine della città che ci arriva attraverso i mass-media, ovvero una Napoli in cui lo spirito dei cittadini era ancora fortemente motivato dalla ricerca del cambiamento. Pensa che questa sensibilità sia ancora presente nei suoi concittadini?
Sì, il problema vero a Napoli è uno scollamento tra istituzione e cittadino. Napoli è una città di grande apertura mentale, molto accogliente con gli stranieri, piena di associazioni di volontariato, in cui i cervelli sono solidali e fervono, dall’altra parte c’è una macchina istituzionale che quando non è perversa e ottusa e rapinosa, allora è lenta e pesante e non riesce a tener dietro ai cittadini.
«Non ho saputo tenere la vita per comparti, ma tutta dentro, ci sono entrata senza distinzione». Così si definisce Clelia, nata e cresciuta nella provincia di una Napoli che poteva starle stretta. Pensa che le difficoltà che incontra la protagonista nel corso della storia possano essere collegate alla realtà in cui è avvenuta la sua maturazione?
Alla realtà che si trova attorno e verso la quale si è aperta a poco a poco. Come dire: finché stava lì protetta dalla famiglia, dall’università, dagli amici del centro sociale, tutto sommato la sua idea di mondo e il mondo fuori coincidevano alquanto. Poi si è trovata in una posizione che ha reso questi due aspetti stridenti.
Scopriamo il nome di Clelia solo a metà del libro, quando inizia ad assumere un ruolo centrale nelle vicende della sua famiglia, non più come spettatrice ma come vera e propria attrice. A cosa è dovuta questa scelta?
Non l’ho fatto apposta, non tengo ai nomi, alcuni miei racconti hanno protagoniste senza nomi dall’inizio alla fine.
La carriera di Clelia, giunta al successo, sembra venir compromessa dal momento che viene a contatto con il mondo dell’economia e del guadagno e trova una via di riscatto. Potrebbe avvenire, o meglio, avviene oggi?
Non ho capito, cosa? Il riscatto o la compromissione?
Ha inserito qualche nota autobiografica nella descrizione dei suoi personaggi, in particolare nel percorso di Clelia?
Beh, qualche storia dei nonni di Clelia me l’hanno raccontata i miei nonni, e poi le competenze teatrali, quelle me le sono fatte io Valeria lavorando in teatro
Alla luce di quanto affermato da Clelia nel suo libro: «Menomale fu la parola che mi scopersi albergare più spesso tra i pensieri» lei come reagirebbe trovandosi nella medesima situazione, fuggirebbe il denaro per la libertà?
Io spesso ho applicato il male minore, nel mio piccolo perché non ho mai avuto ruoli dirigenziali, perché il confine non è così netto come dite voi denaro/libertà, è ovvio che se fosse così qualunque etica direbbe libertà. Invece quello che accade a Clelia e penso a molte persone è che mentre pensi di star agendo bene, stai agendo solo alla metà delle tue forze, perché è tutto il movimento concesso.
Spesso la protagonista basa le decisioni da prendere sul concetto di male minore. Ma secondo lei esiste davvero un male minore?
Se io vado a votare un candidato che non mi convince solo perché l’altro è un delinquente sto applicando il male minore.
Quanto è rilevante per Clelia il fatto di non avere figli?
Da mamma ti dico che l’ho fatta proprio senza figli per aiutarla a dimettersi. Ho immaginato che una mamma ha una scusa ancora più grande per applicare il male minore e questa scusa è «come pago le scarpe a mio figlio? Come gli garantisco la scuola migliore?».