IL LIBRO.
Settanta acrilico trenta lana racconta la storia, ambientata nella piccola cittadina inglese di Leeds, della giovane Camelia e della madre Livia e di come la loro vita, dopo la morte del padre, sia caduta in un buco. Un buco che divora parole e sentimenti, una voragine che annulla ogni rapporto con il mondo. Poi l’incontro con Wen, un ragazzo cinese che si propone di insegnare a Camelia la sua lingua, sembra riuscire a rompere il suo silenzio. Sarà proprio il linguaggio degli ideogrammi la chiave con cui la protagonista cercherà di reinterpretare la sua vita. La stessa carica simbolica, posseduta dalla lingua cinese, si riscontra nel linguaggio intenso e carnale dell’autrice, capace di evocare immagini nitide e suggestive. Viola di Grado, con il suo primo romanzo, esordisce in maniera originale e sfrontata, ponendo l’accento su uno dei più frequenti disagi dei nostri giorni: l’anoressia delle parole. (Viola Di Grado, Settanta acrilico trenta lana, e/o, 2011, pp. 189)
LA CITAZIONE.
«Ma questa non è una storia d’amore, anche se vorrebbe tanto esserlo, darebbe dieci paragrafi per esserlo, darebbe pure un personaggio […]».
S(HORT) M(EMO OF THE) S(TORY). Un elogio della bruttezza, una nuova finestra sul linguaggio. Una scrittrice che spiega le sue ali: non ve ne pentirete.
IL PERSONAGGIO.
Livia è bellissima: bionda, occhi azzurri. Flautista di professione. Sposa Stefano Mega, hanno una figlia, Camelia, che la adora. Quando l’auto del marito precipita in un fosso mentre lui si trova dentro con l’amante, Livia smette di parlare lavorare, curarsi, vivere. Comunica solo con gli sguardi. Sembra resuscitare dal momento dell’incontro con Francis, insegnante di fotografia. La bellezza pare invaghirla ancora. Ma purtroppo ciò che è bello è spesso effimero. Un personaggio che irrita e affascina, sconcerta e commuove.
a cura del Liceo scientifico Talete, Roma