L’INTERVISTA.
Lo scrittore Antonio Pascale, intervenuto all’anteprima di Facciamo un libro (Roma, Fiera Più libri più liberi, 7 dicembre 2011) risponde alle domande degli studenti del Liceo scientifico Pacinotti di Cagliari.
Qual è stato l’input che ha fatto scaturire in lei il desiderio di diventare scrittore e trasmettere il suo pensiero e le sue idee?
Da piccolo balbettavo, non parlavo, mi vergognavo della mia voce. Per compensare ho cominciato, da bambino, a immaginare storie fantastiche, altri mondi, universi nei quali mi muovevo con più agilità . In questa sospensione tra parola e azione, si deve essere sviluppata una predisposizione al racconto, lo consideravo, cioè, una specie di strumento su misura per rileggere e ricostruire quello che mi mancava. Poi a scuola andavo male, non studiavo e questo credo abbia spuntato la vocazione, quindi fino a 18 anni non ho scritto niente e forse non ho neppure immaginato. A un certo punto, attraverso la musica che ascoltavo in maniera ossessiva, sono arrivato a conoscere due scrittori John Fante e Bukowski. Mi sono appassionato ai loro libri e come per un effetto domino quelle pagine ne hanno richiamato altre. Sono diventato un lettore onnivoro. Non so esattamente quando, ma c’è stato un momento che per imitare quello che leggevo ho cominciato a scrivere. Poi ho cominciato a riscrivere, ossessivamente, integrando, modificando, cercando di capire i miei errori e quindi ho cominciato a pensare come uno scrittore. A quel punto ho ritrovato la voce e non sono quella vera, ma anche una più intima e personale.
Nell’incontro di inaugurazione dell’edizione 2012 di Facciamo un libro lei ha fatto un riferimento al rapporto delle nuove generazioni con la tecnologia. Secondo lei, la tecnologia influenza in qualche modo la creatività dei giovani?
Certo, la tecnologia offre possibilità che fino a un decennio fa erano impensabili. Con un iphone è molto più facile girare un piccolo film, oggi. Considero l’accesso agli strumenti della creatività una gran bella cosa. Che poi i film vengono automaticamente bene, grazie alla tecnologia, questo no.
Sempre nell’incontro lei ha citato due modelli narrativi, affermando che il modello a tre atti è più interessante. Può motivare questa sua dichiarazione?
Prevede un cambiamento, il nostro protagonista rivede il suo modo di stare al mondo, cambiare, accettare gli errori, cercare nuove strade è una necessaria sfida quotidiana.
Lei si è particolarmente soffermato sul secondo atto, poiché lo ritiene una parte complessa del racconto. Quali consigli può dare ad un giovane che vuole stimolare la propria creatività e scrivere un buon secondo atto?
Per scrivere bisogna leggere, per girare un film bisogna conoscere altri film, per essere ispirati e dunque creativi è necessario subire un’ influenza dal mondo che ci gira attorno, e capire che parte nel gioco abbiamo noi.
Nella sua vita lei ha scritto più volte per il teatro. Quest’ultimo ha ispirato in qualche modo i suoi racconti? Pensa che la scrittura possa sempre essere rappresentata in teatro? Se no, quali condizioni devono esserci perché ciò accada?
Sono due discipline complementari, che a volte condividono la stessa struttura narrativa, ma non sempre un buon racconto può essere rappresentato e capita che un‘ottima piece teatrale non abbia qualità narrativa.
Cosa lo ha portato ad allontanarsi radicalmente dalla narrativa? E perché detesta maggiormente quella italiana?
Mi annoia sentire raccontare le storie sempre nello stesso modo. È un problema che riguarda il come si racconta e non il cosa. Oggi si può raccontare tutto, e lo si può fare dovunque, il mondo è pieno di storie. Questo eccesso mi stanca, come mi stanca l’eccesso di luce, per esempio. Bisogna trovare un modo diverso di filtrare la luce narrativa, un tono non scontato. Quindi occorre passare dal cosa al come. Ci vuole un metodo nuovo. La narrativa italiana è orfana di personaggi. Ci sono molte idee, riflessioni, considerazioni, ma pochi personaggi. Ma magari è solo questione di ore, un giovane narratore, chissà , nei prossimi giorni inventerà un personaggio esemplare che smentisce quello che ora penso.